L'attuale complesso manastico di Santa Maria Maddalena sorge sui resti di un edificio preesistente documentato a partire dalla prima metà del XIV secolo ed abbandonato già all'inizio del secolo successivo per le precarie condizioni strutturali. Permanevano tuttavia i beni confluiti in seguito nel patrimonio della Curia di Senigallia, mentre un considerevole lascito testamentario, l'eredità Piccini, era direttamente gestito dalla Fabbrica di San Pietro. Nella seconda metà del Cinquecento una comunità di suore clarisse di Pesaro si fece promotrice della riedificazione del complesso religioso insieme al Comune di Serra De' Conti, dopo aver ottenuto l'interessamento di papa Gregorio XIII. Questi, con "Breve" del 1574, sollecitò la Curia di Senigallia affinché scorporasse i terreni del Monastero di S. Maria Maddalena, disponendo inoltre la restituzione dell'eredità Piccini al Comune di Serra De' Conti per la riedificazione del complesso monastico. I lavori terminarono nel 1586 e il monastero fu nuovamente abitato da giovani claustrali che vennero istruite da tre suore inviate appositamente dal monastero di clarisse di Santa Lucia di Arcevia.

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I lavori per l’edificazione della chiesa iniziarono nel 1603, circa vent’anni dopo la riapertura del convento, e si conclusero non prima della fine del secolo. La struttura, inglobata nel complesso monastico, è interessante per la particolare forma ellissoidale della pianta, che sembra evocare le morbide aperture e chiusure dello spazio curvilineo ideato da Borromini per la chiesa romana di S. Maria dei Sette Dolori (1643-1646) dell’ordine claustrale delle Oblate Agostiniane. La suggestione borrominiana è rafforzata anche dalla presenza delle quattro porte laterali (dipinte a grottesche), dall’unico ordine di lesene e dalla forma ovale della cantoria. La comunità monastica del resto vantava rapporti consolidati fin dall’inizio del Seicento con i Padri Filippini del Convento romano di S. Filippo Neri, dove tra il 1637 ca. ed il 1660 ca. è attivo Borromini. Di particolare interesse sono gli arredi lignei, i cui ornamenti di elevata qualità artistica distinguono l’ambiente signorile del monastero. Un recente restauro ha restituito gli antichi materiali ed i colori originari attraverso l’eliminazione delle sovrastrutture accumulatesi nel corso dei secoli.

Le monache di Santa Maria Maddalena appartenenti all’ordine di Santa Chiara, si dividevano in Coriste e Converse, le prime dedite alla preghiera liturgica e alla direzione del monastero, le seconde alle attività di manutenzione, di approvvigionamento e ai servizi. L’ingresso in monastero richiedeva il versamento di una cospicua dote in denaro e beni, oltre ad un corredo in biancheria e mobili. Inizialmente i nuovi ingressi dovevano essere autorizzati dall’autorità comunale, in seguito tuttavia il monastero fu affrancato da tali obblighi e le licenze rimasero competenza della Curia di Senigallia. Dopo un periodo di prova le novizie potevano progredire nei vari gradi, fino alla vestizione e alla professione dei voti solenni, sempre ottenendo le dovute licenze. La direzione spirituale delle religiose era affidata ai Confessori, che si dividevano in Confessori Ordinari e Straordinari. Nel 1955 le suore di Santa Maria Maddalena aderirono alla Federazione delle Clarisse Urbaniste, dopo aver accettato le Nuove Costituzioni Generali dell’Ordine dei Frati Minori nel 1941.

Il Capitolo è da sempre l’organo deliberativo della Comunità, attraverso cui vengono ratificate tutte le decisioni all’interno del monastero. I Capitoli, che si svolgevano alla presenza del Confessore o di un delegato della Curia, erano convocati con licenza vescovile e registrati in volumi la cui compilazione era affidata ad una monaca “cancellaria”, sotto la responsabilità della Madre Badessa. Ogni suora svolgeva una funzione fissata dalla tabella degli Offici, compilata annualmente e approvata dal Vescovo. Gli incarichi si riferiscono alla gestione della biancheria e della spezieria, all’educazione delle fanciulle e all’attività liturgica, ma anche ai compiti di portineria e ricevimento. La direzione del monastero era affidata allora come oggi alla Badessa, scelta dalle monache durante i Capitoli, la quale rimaneva in carica per un triennio, con la possibilità di essere rieletta. Nei secoli XVII e XVIII le Badesse e le monache ebbero maggiore autonomia, anche se sempre sottoposte alle autorizzazioni superiori. Nel monastero la maggior parte dei servizi veniva svolta dalle converse, fatta eccezione per alcune mansioni che erano assegnate a personale esterno.

L’amministrazione del patrimonio e delle dotazioni inizialmente non era comune e ogni monaca rimaneva proprietaria dei propri beni. Intorno alla fine del ‘700 le clarisse di Santa Maria Maddalena aderirono alla regola di Urbano IV che nel 1263 concesse la facoltà di creare e gestire un patrimonio comune: fu applicata pertanto la comunione dei beni, la cui gestione venne affidata alla Badessa coadiuvata dalla Vicaria. Data la ricchezza del patrimonio accumulato, il monastero estese la proprietà su territori sempre più vasti, la cui gestione era esercitata attraverso sindaci e agenti. Questi, appartenenti per lo più alle famiglie d’origine delle suore, curavano i rapporti con i fittavoli e i coloni, occupandosi inoltre di dirimere le cause e le liti che potevano insorgere su diverse questioni. Dopo la soppressione del 1861 e la demanializzazione dei beni, l’amministrazione del monastero cambiò completamente. Ad integrazione delle pensioni percepite per il sostentamento della comunità, furono infatti introdotte varie attività quali la stiratura, la confezione ed il riattamento di paramenti sacri, oltre alla preparazione di dolci su ordinazione, attività quest’ultima in precedenza legata alle festività che prevedevano doni per i collaboratori esterni.

Un aspetto fondamentale della vita monastica è quello liturgico, legato anche alla musica e al canto. Il convento aveva un rapporto privilegiato con il Pio Ospedale degli Esposti di Bologna, da dove provenivano le organiste che si monacavano per svolgere tale attività.

A S. Maria Maddalena è presente un ricco fondo musicale, comprendente sia copie di opere famose, come ad esempio lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi, sia composizioni appositamente create per la comunità monastica, oltre a spartiti provenienti dai conventi del Buon Gesù di Ostra e da quello di San Domenico a Belvedere Ostrense.

L'archivio del monastero è un fondo composito, costituito da diversi nuclei di documenti che abbracciano un arco cronologico esteso dal secolo XVI al XX. È collocato al primo piano del convento, insieme ai volumi della biblioteca antica. Si tratta di una biblioteca monastica che comprende testi inerenti alle attività svolte dalle suore, secondo quanto stabilito nelle tabelle degli Offici.

Passi leggeri, fruscio di vesti, voci sommesse… in questo mondo claustrale dove il silenzio non è semplicemente sentito come regola imposta, ma è la componente di un interiore ordine morale e spirituale, la campanella è la voce comunitaria che chiamava le suore alla preghiera, al lavoro, ai pasti, alla ricreazione. Le diverse combinazioni di tocchi e scampanellate componevano le chiamate di ogni suora e costituivano un mezzo di comunicazione all’interno del monastero.